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Immagine del redattoreLaura Bocci

Le parole delle emozioni

Freud scrisse che con le parole un uomo può rendere felice l’altro o spingerlo alla disperazione, che le parole suscitano affetti e sono il mezzo comune con il quale gli uomini si influenzano tra di loro.

Scrisse di non sottovalutarle.

Invece lo facciamo con fin troppa facilità.


Nonostante le parole siano il filo diretto tra noi e la nostra vita interiore e tra noi e gli altri, capita di dimenticare la funzione essenziale che hanno nel saper dire la nostra particolarità.

Per esempio, pensiamo a quando cediamo al fascino gregario e gratificante del luogo comune, utilizzando espressioni gergali immediate, semplici e dirette. Quanto spesso si dice o si sente dire “sono incasinata/o”, “staccare la spina”, “mi è partito l’embolo”, o “sono stressata/a”?

Alcune espressioni detengono un vero e proprio primato!

Ti fanno sentire parte del gruppo, sì, ma non sono forse termini generici, indistinti e vaghi che finiscono per confondere le specificità del proprio sentire e del proprio sentirsi? Non rimuovono forse le sfumature variopinte dell’emotività?

La genericità di certi termini educa a pensare in un certo modo o, a volte, a non pensare proprio! La genericità e l’omologazione rende le parole disabitate da chi le pronuncia.

Cosa vuol dire “essere incasinati”??? Tensione, paura, rabbia, conflitto … Abbiamo una gamma infinita di parole per dirlo. C’è un linguaggio privato, irripetibile che evidenzia la particolarità di ciascuno e di ciascuno preso nelle sue relazioni. Le parole possono essere creative perché veicolano i propri significati emotivi, aprono la mente ad altre possibilità e alternative.


Freud parlò di talking cure - cura della parola.

Sì, le parole curano e possono essere artefici del cambiamento ma solo se non le lasciamo allontanare dalle cose private, dalla vita e dalla nostra storia. La loro magia inizia proprio quando, responsabilmente, non sfuggono alla verità di ciò che si sta realmente comunicando…

E’ necessario, come scrive Natalia Ginzburg, tornare a scegliere le parole, a scrutarle per sentire se sono false o vere, se hanno o no vere radici in noi, o se hanno soltanto le effimere radici della comune illusione.



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